Sembra un film hollywoodiano del genere catastrofico, in cui il pathos è esasperato e lo spettatore con il cuore in gola. Invece è pura realtà, le due voci che ascoltiamo non appartengono a pluripremiati attori campioni nell’interpretazione di ruoli drammatici.
Noi, spettatori di uno show che purtroppo non è una rappresentazione scenica, rimaniamo attoniti di fronte al dialogo che si instaura tra due uomini i quali, sviluppandosi la conversazione, si dimostrano così diversi, come distanti centinaia di miglia l’uno dall’altro.
Il distacco tra le due figure protagoniste assume caratteri universali, i due uomini vengono quasi spersonalizzati per divenire simboli. Il comandante di quella città galleggiante che era la Costa Concordia prima del disastro, Francesco Schettino, rappresenta la personificazione della viltà, dell’egoismo, dell’opportunismo. L’uomo che dovrebbe abbandonare per ultimo la nave che affonda è il primo a fuggire insieme agli altri ufficiali. Colui il quale ha il compito di rassicurare l’equipaggio e coordinare le operazioni di salvataggio preferisce darsela a gambe e non rischiare. Dal lato opposto, il simbolo della giustizia, della deontologia professionale, dell’onore di chi svolge un ruolo di responsabilità, Gregorio De Falco, anch’egli comandante (della sezione operativa della Capitaneria di Porto di Livorno). Tutti noi esaltiamo quest’uomo, le sue parole severe che richiamano Schettino all’ordine, ad assumersi le sue responsabilità di comandante. Diveniamo giudici condannando il pusillanime Schettino e osannando l’eroe De Falco. Sullo sfondo, come se per un attimo fosse tutto oscurato dalla sconvolgente conversazione, la nave che affonda lentamente, trascinando con sé una scia di morte.
Fermiamoci un attimo, riflettiamo.
In fondo in ognuno di noi convivono il comandante Schettino e il comandante De Falco. Una sorta di Yin–Yang, nel quale vi è commistione di valori positivi e negativi, questo è l’essere umano. Potremmo dire, con Freud, che Schettino rappresenta il nostro Es, la cieca istintualità, il dominio degli impulsi, tra cui ovviamente il ruolo principe è svolto dall’istinto di conservazione, della propria conservazione in questo caso. De Falco è il Super–io, l’insieme dei valori, dei codici di comportamento che interiorizziamo fin da piccoli. È quella voce che ci sprona a compiere azioni conformi alla morale della nostra comunità di appartenenza oppure ci spinge a fare il bene di quella comunità, molto più estesa, che è l’umanità intera. Seguire gli ordini di De Falco comporta rischi e scelte responsabili, abbandonarsi all’Es–Schettino appare molto più facile come deliberazione.
Come potrà mai agire il nostro Io, in bilico tra Es e Super–io, un po’ come la biga platonica in preda al moto antitetico dei due cavalli–anime? Non è semplice rispondere, scegliere. Seguire l’istinto forse ci assicurerebbe la salvezza ma il prezzo da pagare è il giudizio negativo degli altri, lo stigma, come direbbe qualcuno.
Affidarsi alla ragione, sentirsi parte di qualcosa che ci sovrasta, divenire coscienti di poter fare il bene dell’umanità ci renderebbe eroi ma il conto può essere molto salato, potremmo rimetterci la vita. Siamo uomini d’onore? O vigliacchi? É molto più semplice giudicare, fare gli spettatori. Di un film catastrofico che appare reale. O di una realtà tanto drammatica da sembrare finzione.
Davide Negro