In ricircoli e ricicli di surrogati di bussole oramai fuori moda, di mappe senza più tesoro. e le mie nostre povere orecchie straziate dal pianto di orfani lerci di Dio e del divino: grigi sterminati eserciti, nel rovistare affaccendati tra macerie e frantumi di quanto un tempo fu morale.
Dalla tecnica esonerato nel procurarmi sopravvivenza, avanzi sfrutto d’energia in quasi eroiche derive, affannose ricerche di sempre nuove incoscienze, orfano di un fine nell’attesa della fine. Annichilito, mi fingo nichilista. giovanotto annoiato annoiante, piagnistei strimpellante su chitarre senza corde, diversivi canto chimicosessuali che mi strappino alla noia, all’oblio di meraviglia, a latitanze di regni sommersi sotto arrabbiate increspate superfici. spirito, sono, fiacco ed infiacchente, e a mia immagine rendo quel che tocco, predandone il significato, prostituendone il significante. non atto di vita ma morte in potenza, porto sbiadite sbiadenti malinconie come con scarpe alla moda. Misantropo di serie B. Ateo piagnucolone come lattante strappato a seni di patrie e matrie, di famigliestatiprimordiali e superni spiritelli. vile foruncoloso disobbediente, lacrime agli occhi e stizza implorante “non voglio andare a messa”. Fiore del male in serra coltivato, allettato e allattato da soli artificiali, ma da autentiche lune divorato. Invisibile alle stelle. amorfa, deforme tutt’al più, funzione ingrassante sistemi fascisti, scodinzolante ai loro zuccherini con su scritto “tu mi servi”. risentito del mio esserci forzato, gravoso perché gravato, canto in gregge canterino, che lauda tristi e insipidi naufragi, moti chiusi per chiusi luoghi. sguardo illanguidito, sonnolenta movenza di pensiero. Non più giochi di mamme e dottori, ma di maldetti maldicenti. limbi vivo, universi interstiziali tra ciò che fu e quanto sarà. Fra ciò ch’è distrutto e quanto dev’essere ancora costruito.
E quanto dev’essere, ancora, costruito! non abbatto, infatti, ma ancora abbaio da distruttore, nato come sono fra macerie preconfezionate, tra false morali distruttrici, ombre sbiadite del non saper edificare. Fra storie ormai vecchie, come tutta la storia gloriosa. quante bestie e dei bisogna ancora sgozzare, quante malsane catacombe demolire e vampiri incendiare, perché sorga la mia prima alba! Quanto cercare mutarsi in creare, quanto scavare in sotterrare! Quante talpe vogliono essere ancora predate dalle aquile, perché non più allo scavar di radice in radice, ma al volar di vetta in vetta assomigli questo mio procedere! Quante creature devo ammirare ancora mutarsi in creatori, quanto volere devo veder vendicare ancora l’esser stato voluto. E a quanti orizzonti deve ancora dichiarare guerra questo mio sguardo! Giungere deve, ancora, il vento onesto di antichi futuri cui io possa mordere la coda, che queste ali disveli, da sedimenti celate di angoscia collettiva. di quanta storia non serberò più allora ricordo alcuno! Quanto gelido avvenire spietato m’investirà! È per esso che celebro adesso il mio sì. È per la fecondità e il mio gravido presente che celebro adesso il mio sì.
Lì e Allora con balzo scavalco, Qui e Ora canto con gioia. massimamente perfetti: Qui e Ora. Massimamente in atto: Qui e Ora. E ora e ancora li invoco. Ora e ancora, bramando non il loro infinito, predandone sì l’eternità.
marco politano