mercoledì 19 settembre 2012

Schopenhauer in cinque piccole lezioni


Prima lezione: la natura contrapposta allo spirito

1.  Il filosofo impara dalla vita e non dai libri. Ma per capire bene un filosofo bisogna vedere a quale filosofo reagisce. L’ha detto Bergson, e non ha detto una cosa peregrina: ogni filosofo pensa in reazione a un altro pensatore. Ai filosofi si applica la legge che uno dei primi filosofi greci, Anassimandro, applica a tutti gli enti: essi sono commessi alla fine, “secondo l’ordine del tempo”, per una legge di giustizia. Cioè perché, con l’unilateralità che ciascuno rappresenta e non può non rappresentare, infrangono l’unità, la compattezza, l’integrità, l’universalità della vita. È come il reato che, con la sua sporgente unilateralità, sfonda l’ordine giuridico. Il filosofo successivo è la correzione e l’incremento, per contrasto e integrazione, del filosofo precedente, in corrispondenza della successione delle epoche, che i filosofi sempre rappresentano e che sono, come ha detto Platone, le facce cangianti dell’eternità.
A chi reagisce Schopenhauer? Schopenhauer reagisce a Hegel. In parte, vedremo, anche a Kant (per integrazione), ma soprattutto a Hegel (per contrasto). Giorgio Colli, grande schopenhaueriano, dice che il dieci per cento dell’opera di Schopenhauer è fatto di insulti a Hegel. Ma tutti questi insulti non pesano quanto pesa quello che secondo noi è il vero insulto alla filosofia di Hegel: la filosofia stessa di Schopenhauer, quella da lui fatta in gioventù, serenamente e non per insultare Hegel. Hegel aveva fatto l’ultimo grandioso tentativo di divinizzare il mondo, con l’aiuto del nostro sesto senso, il senso storico. Schopenhauer sconsacrò il mondo, diabolicizzò la natura, come aveva già fatto Aristotele, ma in modo più concentrato, potente, totale e dettagliato di Aristotele. La filosofia di Hegel e quella idealistica in genere, cioè anche di Fichte e Schelling, fino al suo tardo seguace Benedetto Croce, è una filosofia dello Spirito, dell’Idea, della razionalità, del soggetto, dell’attività, della libertà, dei valori; dunque per impianto è una filosofia della positività, una filosofia ottimistica. In essa non c’è veramente spazio per la natura. Per la natura, anzi, c’è noncuranza e disprezzo. Il cielo stellato è un cielo con la lebbra, cioè le stelle sono la lebbra del cielo. La natura stessa non è niente di essenziale, è un concetto artificiale, una costruzione umana.
Per evitare il dualismo di spirito e natura, di soggetto e oggetto, si scioglie la natura in spirito, l’oggetto in soggetto; la natura si identifica “col pratico processo dei desideri, degli appetiti, delle cupidità, e delle congiunte commozioni, dei piaceri e dei dolori” del soggetto, ossia con la sua vita passionale, coi suoi stimoli e impulsi, con le sue soddisfazioni e insoddisfazioni risorgenti, con la “sua varia e molteplice commozione, che è ciò che si fa materia della intuizione e della fantasia e, attraverso essa, della riflessione e del pensiero”, come dice Croce. Ma in tal modo si salta, con la natura, il male della natura: i terremoti e i maremoti, gli tsunami, le siccità, le carestie, le epidemie, le inondazioni, gli incendi, gli uragani e la struttura piramidale degli esseri, dove quelli che stanno sopra, armati di zanne, artigli, veleno o armi da fuoco, si nutrono di quelli che stanno sotto, salvo eccezioni in contrario; per non parlare dei mali umani, che sono pur sempre mali della natura: le ingiustizie, i delitti, le guerre e le stragi, dimostratesi finora ineliminabili, e il destino di dolore, vecchiaia, malattia e morte, che incombe su noi tutti.
A questa filosofia dello Spirito si oppone la filosofia di Schopenhauer. Essa è la filosofia della natura, dell’irrazionale, dell’oggetto, della passività, della necessità, della servitù, del fatalismo, della negatività, che sono tanta parte della vita, una parte ben maggiore della parte positiva, libera e attiva; dunque per impianto è una filosofia pessimistica. È una filosofia disantropomorfizzata quanto quella di Hegel era antropomorfizzata, una filosofia in sostanza umanistica.
  Sossio Giametta