Prima lezione: la natura contrapposta
allo spirito
1. Il filosofo impara dalla vita e non dai
libri. Ma per capire bene un filosofo bisogna vedere a quale filosofo reagisce.
L’ha detto Bergson, e non ha detto una cosa peregrina: ogni filosofo pensa in
reazione a un altro pensatore. Ai filosofi si applica la legge che uno dei
primi filosofi greci, Anassimandro, applica a tutti gli enti: essi sono
commessi alla fine, “secondo l’ordine del tempo”, per una legge di giustizia.
Cioè perché, con l’unilateralità che ciascuno rappresenta e non può non
rappresentare, infrangono l’unità, la compattezza, l’integrità, l’universalità
della vita. È come il reato che, con la sua sporgente unilateralità, sfonda
l’ordine giuridico. Il filosofo successivo è la correzione e l’incremento, per
contrasto e integrazione, del filosofo precedente, in corrispondenza della
successione delle epoche, che i filosofi sempre rappresentano e che sono, come
ha detto Platone, le facce cangianti dell’eternità.
A chi
reagisce Schopenhauer? Schopenhauer reagisce a Hegel. In parte, vedremo, anche
a Kant (per integrazione), ma soprattutto a Hegel (per contrasto). Giorgio
Colli, grande schopenhaueriano, dice che il dieci per cento dell’opera di
Schopenhauer è fatto di insulti a Hegel. Ma tutti questi insulti non pesano
quanto pesa quello che secondo noi è il vero insulto alla filosofia di Hegel:
la filosofia stessa di Schopenhauer, quella da lui fatta in gioventù,
serenamente e non per insultare Hegel. Hegel aveva fatto l’ultimo grandioso
tentativo di divinizzare il mondo, con l’aiuto del nostro sesto senso, il senso
storico. Schopenhauer sconsacrò il mondo, diabolicizzò la natura, come aveva
già fatto Aristotele, ma in modo più concentrato, potente, totale e dettagliato
di Aristotele. La filosofia di Hegel e quella idealistica in genere, cioè anche
di Fichte e Schelling, fino al suo tardo seguace Benedetto Croce, è una
filosofia dello Spirito, dell’Idea, della razionalità, del soggetto,
dell’attività, della libertà, dei valori; dunque per impianto è una filosofia
della positività, una filosofia ottimistica. In essa non c’è veramente spazio
per la natura. Per la natura, anzi, c’è noncuranza e disprezzo. Il cielo
stellato è un cielo con la lebbra, cioè le stelle sono la lebbra del cielo. La
natura stessa non è niente di essenziale, è un concetto artificiale, una
costruzione umana.
Per evitare
il dualismo di spirito e natura, di soggetto e oggetto, si scioglie la natura
in spirito, l’oggetto in soggetto; la natura si identifica “col pratico
processo dei desideri, degli appetiti, delle cupidità, e delle congiunte
commozioni, dei piaceri e dei dolori” del soggetto, ossia con la sua vita
passionale, coi suoi stimoli e impulsi, con le sue soddisfazioni e
insoddisfazioni risorgenti, con la “sua varia e molteplice commozione, che è
ciò che si fa materia della intuizione e della fantasia e, attraverso essa,
della riflessione e del pensiero”, come dice Croce. Ma in tal modo si salta,
con la natura, il male della natura: i terremoti e i maremoti, gli tsunami, le
siccità, le carestie, le epidemie, le inondazioni, gli incendi, gli uragani e
la struttura piramidale degli esseri, dove quelli che stanno sopra, armati di
zanne, artigli, veleno o armi da fuoco, si nutrono di quelli che stanno sotto,
salvo eccezioni in contrario; per non parlare dei mali umani, che sono pur
sempre mali della natura: le ingiustizie, i delitti, le guerre e le stragi,
dimostratesi finora ineliminabili, e il destino di dolore, vecchiaia, malattia
e morte, che incombe su noi tutti.
A questa
filosofia dello Spirito si oppone la filosofia di Schopenhauer. Essa è la
filosofia della natura, dell’irrazionale, dell’oggetto, della passività, della
necessità, della servitù, del fatalismo, della negatività, che sono tanta parte
della vita, una parte ben maggiore della parte positiva, libera e attiva;
dunque per impianto è una filosofia pessimistica. È una filosofia
disantropomorfizzata quanto quella di Hegel era antropomorfizzata, una
filosofia in sostanza umanistica.
Sossio Giametta