P. Calendari per l’anno nuovo? Regalati dalla banca ?!
V. Certo.
P. Per un felice anno nuovo?
V. Mi sembra ovvio. È un pensiero carino, non trovi?
P. E te li ha regalati anche l’anno passato?
V. Sì, in effetti, non ho mai avuto bisogno di comprare calendari. La mia banca ha sempre avuto pensieri carini nei confronti dei suoi clienti.
P. E ci mancherebbe altro. Comunque, direi che quei calendari di buon augurio sforino nel cattivo gusto, non trovi? Dimmi, a quale di questi anni vorresti davvero che somigliasse il prossimo anno?
V. Se devo essere sincero, nessuno. Sai, con questa crisi, il mutuo, la famiglia da tirare avanti, le cose non sono andate tanto bene… in azienda abbiamo sfiorato il licenziamento! Speriamo che quest’anno si risolvano un po’ di questioni.
P. Da quanti anni la tua banca ti riempie di calendari colorati e pietose agendine tascabili plastificate?
V. Bah, direi una decina d’anni, da quando ho attivato il conto corrente.
P. E a quale di questi ultimissimi anni vorresti che somigliasse l’anno venturo?
V. Bah, non saprei.
P. Non ti ricordi nessun anno particolarmente felice, vero?
V. In verità no… Aspetta, a che gioco stai giocando? Questa conversazione mi sa tanto di deja vu. Mi hai fatto venire in mente la professoressa di letteratura del liceo, motivo sufficiente per rimproverarti di avermi rovinato la giornata.
P. Come associazione di idee sei andato vicino. Ai miei studenti ho dato da leggere un po’ di Leopardi per le vacanza natalizie… Poi sei arrivato tu e non ho resistito alla debolezza…
V. … oddio, quel… coso sugli almanacchi! Ti riferivi a quello?
P. Non si chiama “coso”, si chiama “dialogo”, e per la precisione “Dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggere”.
V. Hai comunque inteso a cosa mi stessi riferendo e tanto basta. Penso di aver capito dove volessi condurmi… è inutile illudersi con l’attesa di una vita futura priva degli affanni che hanno gravato negli anni precedenti… ogni anno ci ritroviamo a sperare in un anno nuovo pieno di promesse e nessuno vorrebbe mai tornare indietro a rivivere ciò che ha già vissuto, segno del fatto che il caso ci ha trattati tutti male. Quindi, stavi prendendo in giro il mio entusiasmo per l’arrivo dell’anno nuovo come se fosse ingiustificato!
P. Trovavo ironici gli auguri da parte della banca, considerati i guai nei quali ci hanno cacciati… però d’altra parte, mai come quest’anno sono “contestualizzati”, diciamo così. Non so quanta attenzione tu abbia prestato al discorso del Presidente della Repubblica la sera di Capodanno…
V. Molta, tanta, economia! Bilancio dello stato, evasione fiscale, corruzione, sacrifici... Fatta salva la fiducia! Non sembrava il classico discorso di fine anno, mi è parso mancasse qualcosa.
P. Già, il che è sintomatico… ben diverso dal discorso dell’anno scorso, di più ampio respiro e nello stesso tempo di peso, e soprattutto rivolto davvero ai giovani, al nuovo, chiamati in causa su molteplici aspetti. In confronto, il discorso di quest’anno è stato monotematico e in tal senso, preoccupante. È segno che le preoccupazioni di stampo economico e finanziario sono diventate il comune pensiero fisso condiviso… e si sa che non c’è miglior modo per cadere in un abisso quando si è tormentati da pensieri fissi…
V. Mi aspettavo parlasse di più del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia… c’è stato solo un breve accenno all’inizio e nulla più.
P. Riducendo al minimo, possiamo dire che abbiamo festeggiato l’anniversario della nostra nazione unita con il rischio di fallimento dello Stato, l’Italia ridotta agli sberleffi dei cugini europei, camminando sul filo teso sopra il baratro della recessione. E se dovessi fare una previsione, le premesse poste da un discorso di fine anno di questo genere non lasciano molto spazio a vere speranze di cambiamento, per quanto ciò possa valere.
V. Cosa avresti voluto che dicesse?
P. Che abbiamo sbagliato tutto, che già l’anno scorso eravamo ben coscienti della drammaticità della situazione, e che nonostante tutti i buoni propositi abbiamo avuto la capacità di complicare i nostri problemi fino a un punto di non ritorno. Il giorno di Capodanno non ha nulla di speciale se non l’occasione di fare un bilancio, individuale e collettivo. E nel discorso, a mio parere, non c’è stato nessun bilancio. Cosa tanto più grave considerando che quest’anno costellato di ricorrenze e commemorazioni ci ha offerto molte possibilità in tal senso, colte solo a parole e mai nei fatti. Tanti bei sentimenti, ma ne è mancato uno, fondamentale e imprescindibile, per andare avanti e rimboccarsi le maniche. Non è bello a sentirsi dire, ma non per questo non è necessario.
V. Quale?
P. Chiedilo a Leopardi. Tieni, leggi, intendo portarlo in classe al ritorno dalle vacanze.
V. Oddio, cos’è?
P. Dallo Zibaldone, il riferimento l’ho ripescato dai miei appunti dell’università, leggi…
V. ..«se noi dobbiamo risvegliarci una volta, e riprendere lo spirito della nazione, il primo nostro moto dev’essere non la superbia né la stima delle cose presenti, ma la vergogna. E questa ci deve spronare a cangiare strada del tutto e rinnovellare ogni cosa. Commemorare le nostre glorie passate, è stimolo alla virtù, ma mentire e fingere le presenti è conforto all’ignavia, è argomento di rimanersi contenti di questa vilissima condizione. Oltre a questo serve ancora ad alimentare e confermare a mantenere quella miseria di giudizio, e mancanza di ogni arte critica, di cui lagnavasi l’Alfieri (nella sua Vita) rispetto all’Italia, e che oggidì è così evidente per la continua esperienza sì delle grandi scempiaggini lodate, sì dei pregi (se qualcuno per miracolo ne occorre) o sconosciuti, o trascurati, o negati, o biasimati» ...
P. Notevole, non è vero? Ed è stato scritto quarant’anni prima dell’unità d’Italia, in condizioni storiche molto diverse dalle nostre. Come spunto di riflessione, mi sembra molto interessante.
V. Quindi il problema è che non sappiamo vergognarci della nostra situazione? Non abbiamo spirito critico verso noi stessi, chiudiamo gli occhi di fronte alle scempiaggini che ci corrono sotto gli occhi e misconosciamo anche quel poco che invece sarebbe degno di merito?
P. Sì, e dopo un anno di celebrazioni della nostra storia, sarebbe anche arrivato il momento di rendersene conto, perché la fantomatica “fiducia”, tanto sbandierata, non può essere cieca di fronte ai nostri limiti e difetti. Il nostro passato non è un sogno sicuro nel quale trovare riparo dallo squallore della nostra quotidianità. Abbiamo trascorso un anno a guardarci allo specchio senza renderci conto che stava per andare in frantumi.
V. Hai mai letto Harry Potter?
P. E come ti è venuto in mente adesso?! In ogni caso sì, l’ho letto.
V. Per l’ultima frase che hai detto, mi hai fatto ricordare un passaggio del primo libro, quando Harry Potter perde le sue notti di fronte allo specchio delle brame, e Silente lo ammonisce… “non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere”.
P. Ecco, questo si che potrebbe essere un bel messaggio di fine anno! Non dimenticarsi di vivere!
Simona Apollonio