Tale consapevolezza, non sempre riscontrabile negli intellettuali di oggi, è invece, almeno fino al Rinascimento, il punto da cui parte ogni critico “serio” dell’arte di Urania.
È il caso di Giovan Battista Della Porta (1535-1615), celebre filosofo napoletano del Rinascimento, il quale, in una delle sue più divertenti commedie, Lo Astrologo, pubblicata a Venezia nel 1606, mette in scena un esilarante sberleffo del mestiere di astrologo, buffamente ritratto come un “cacciatore notturno di spiriti e di Intelligenze celesti”.
Ne riportiamo alcuni passi.
Lo astrologo.
Commedia. Primo Atto. Scena terza (Gramigna, Pandolfo)
Gra. Che dimandate voi?
Pan. Sete di casa?
Gra. Sono servo del Astrologo divino.
Pan. Avrà ben bevuto l’astrologo, poiché è di vino.
Gra. Divino cioè che sa delle stelle, delli celi, e di cose celestiali, e perché indovina.
Pan. Si potria parlar col vostro indovino?
Gra. È ritornato stracco dalla caccia de spiriti, e di intelligenze, e non ha portato più di cento carafelle piene, e ora sta con quadranti, astrolabi, e meteoroscopi, e altri stromenti osservando la congiunzione de’ pianeti.
[…]
Pan. Che berà. Che mangiarà questa mattina?
[…]
Gra. Liquore di pianeti, rugiade di stelle fisse, distillazioni di destini, quinte essenzie de fati, sugo di cieli.
Pan. Come li raccoglie? Come se li beve?
Gra. La notte quando sta contemplando il Cielo, li piovono su la gran barba, […] e se li beve, l’avanzo si conserva per quando ha sete in certe botte grandi cerchiate di Zodiachi.
È noto come Giovan Battista, sin dalla prima giovinezza, si sia occupato assiduamente di astrologia. Infatti, la critica che egli attua ne Lo Astrologo, lungi dall’essere riferita all’astrologia in quanto tale, è rivolta ad una sua interpretazione (quasi ovvia nella cosmologia rinascimentale) che associa gli intelletti motori dei cieli, le anime delle sfere e i demoni.
Tale identificazione, dovuta all’immissione nella tradizione aristotelica, tra XV e XVI secolo, di motivi ermetici, neoplatonici e cabalistici, trova un argine nelle acquisizioni dell’aristotelismo padovano, di cui, nel XVII secolo, Giulio Cesare Vanini, ripercorrendo un tragitto già battuto nel Medioevo da Pietro d’Abano e da Biagio Pelacani, e nel Rinascimento da Pietro Pomponazzi, interpreta gli esiti più estremi e radicali.
Negli anni della maturità, Della Porta si inserisce, in maniera del tutto peculiare, tra queste due tradizioni “cosmologiche”. Condividendo con gli aristotelici padovani l’idea che le stelle siano “corpi fisici” e non “demoni del cielo”, egli recupera, radicalizzandola, la dottrina plotiniana degli astri-segni. Per Della Porta le stelle non causano mai gli eventi concernenti l’uomo (in bilico tra umori, grazia divina e libertà), né ha senso credere alla divinazione astrologica. L’astrologia, quindi, non può considerarsi una “futurologia”, una “scienza del futuro”.
D’altronde, in un famoso passo de Lo Astrologo, sottolineando lo stretto legame che, a suo parere, intercorre tra divinazione e superstizione, Giovan Battista fa dire a Cricca, uno dei personaggi della commedia, una frase assai eloquente: “Non sapete che la Negromanzia è refrigerio di quelli miseri, che si trovano in qualche strabocchevole desiderio?”
Molti anni sono passati da quando, poco più che ventenne, Della Porta ha iniziato a “curiosare”, dalle pagine della sua prima Magia naturalis, nella raffinata tradizione cosmologica e demonologica del neoplatonismo rinascimentale. Ora, quasi ottantenne, dopo anni di assidua indagine della natura, e sotto i “colpi” del pensiero controriformistico, ciò che gli preme è soprattutto distanziarsi dalle “fraudi” dei demoni (identificati, adesso, con gli “angeli decaduti” della tradizione cristiana) e, in fondo, anche da chi alle potenzialità “superiori” di questi esseri ancora presta fede.
Nasce da qui, dalle ceneri di una cosmologia e di un sistema di pensiero in crisi, la sua “Fisiognomica del mondo”, intesa come “semeiotica universale” e forma più alta e verace di filosofia.
La riflessione di Della Porta sull’astrologia e – più in generale – sull’occulto, della quale Lo astrologo fornisce una piacevole esemplificazione, ci aiuta a comprendere come, alle soglie della modernità, la critica al soprannaturale trovi i suoi fondamenti, più che nel nascente “pensiero scientifico moderno”, (al quale, comunque, spetta il “merito” di aver mutato, nel corso dei secoli, il “senso comune” intorno al superstizioso), nelle conclusioni di un universo concettuale, quello del naturalismo astrologico (astronomico) aristotelico (ma in Della Porta agiscono anche forti motivi plotiniani), destinato tuttavia a soccombere, da lì a breve, con la superstizione stessa.
Donato Verardi