“Nella
Puglia, che un tempo era chiamata Magna Grecia, si trova una cittadina che
risponde al nome di Presicce, poco distante dalla nostra patria. Nel suburbio
di quella cittadina fu trovata l'immagine della Vergine Madre di Dio, che
secondo la solita consuetudine, tutti veneravano con grande onore e con
profondissimo senso religioso. Ne sentì parlare un tale, cieco dalla nascita,
il quale, fattosi condurre da un fanciullo o da una cagna, si affrettò a
visitare il tempio della vergine, si inginocchiò in atto di adorazione e,
pregando liberamente, si addormentò. Quando finalmente si svegliò si accorse di
vedere, ma alzandosi si rese conto d'essere diventato zoppo” (G.C. Vanini, Amphitheatrum
aeternae providentiae, pp. 72-73).
Il
"fatterello" qui riportato non può non destare stupore e incredulità
per un miracolo che ridà la vista a un povero cieco e, forse per una sorta di
legge della compensazione che varrebbe per alcuni, gli viene tolta la motilità
della gamba. Un paradosso di cui Dio si servirebbe per coloro che credono in
Lui? Dio che è risposta, quale domanda porgli per ottenere chiarimenti? O
magari è “Più saggio rinunciare non soltanto alla risposta, ma alla stessa
domanda” facendo propria la citazione di Martin Heidegger? (conferenza del
31 gennaio del 1962 a Freiburg). Il Dio, quel Dio delle piccole cose, che sta
dietro la quotidianità degli uomini e che dovrebbe garantire un governo
provvidente e giusto perché dovrebbe rendere incomprensibile il suo operato?
Quali sono le ragioni in ordine all'incomprensibilità e all'imperscrutabilità
di Dio? Dio è stato “presentato” all'uomo attraverso le scritture e i dogmi, e
questi fa fatica a riconoscerlo, ad averne la percezione materiale. A quale
legge sapienziale dunque l'uomo è costretto a sottostare giacché non gli è
concesso il superamento di essa affinché la conoscenza diventi perfezione? “La
sapienza si precisa come una conoscenza pratica delle leggi della vita e
dell'universo, basata sull'esperienza” (Gerhard von Rad). Risulta
quindi conveniente per l'uomo scoprire la sua vocazione di artefice della
propria vita in ogni istante del quotidiano per concentrarsi intorno a temi
come il destino individuale. E non devono quindi scandalizzare le domande serie
e legittime riguardanti la vita umana formulate dal desiderio di conoscenza che
si potrebbe definire come una sorta di “teologia pratica”.
Quali
sono le fonti a cui attingere sapienza?
Soltanto
i filosofi che hanno la lingua sciolta e posseggono lo spirito libero sanno
come penetrare nella zona off limits che è mistero e danno struttura al
pensiero formulando logiche e risposte in contrapposizione agli assunti della
religione, la quale in passato ha impedito e ostacolato ogni ragionamento che
non era sottomesso alla fede. L'uomo avverte la potenza che è dettata dal
sacro, una forza che lo sovrasta, percepisce di essere dipendente e ha
paura, prova anche fascino e attrazione,
ma non avrà risposte, allungherà la sua vita con l'attesa delle domande che non
si concludono. La fede lo incatena a Dio e alle sue cose. Chiede e non ottiene.
Spera ed è deluso. Non comprende e si dispera. Prega.
Dio
ha un fascicolo aperto per ogni uomo, dove annota imputazioni, reati, condanne
e premi?
Vanini
nell'opera citata, in ordine al miracolo, riporta la risposta di un ateo
incontrato in Germania, che pur non respingendo la sua descrizione e
testimonianza dell'accaduto escogita due risposte per dimostrare che non c'era
stato alcun miracolo.
La
prima: “quanto accaduto era da ricondurre all'influsso di un astro che dominava
su quel tempio”.
La
seconda: “Il cieco fu
esaudito nei suoi voti per la forza dell'immaginazione [...] Ci è stato
tramandato oralmente che il figlio di un certo re, muto dalla nascita,
riacquistò la parola per l'intenso desiderio di soccorrere il padre che fuggiva
davanti ai nemici armati”.
La
seconda in particolare non convince, lo stesso Vanini nell'ascoltarla sorride.
Infatti per come sono andate le cose al cieco, che per aver avuto in dono la
vista, ha dovuto accettare un altro svantaggio, risulta legittimo avanzare
alcune domande sull'operato di Dio.
Accettando
che il miracolo è un fatto contrario alle leggi della natura e per potenza
soprannaturale, e dando per scontato che sia opera di Dio, c'è da pensare che
nel caso del cieco qualcosa non sia andata bene. Forse Dio si è distratto? E
può Dio distrarsi? L'ipotesi è improponibile: rappresenterebbe un modo per
umanizzare Dio, considerato che la distrazione appartiene agli uomini, che se
ne servono e se ne avvantaggiano in ogni modo ogni qualvolta pongono
l'attenzione verso cose più appetibili.
Potrebbe
essere stato allora l'intervento di un santo molto quotato a ostacolare Dio
nell'esercizio delle sue funzioni. Magari per risentimento, per non essere stato esaudito per un miracolo di
cui avrebbe perorato l'intervento divino. Nel caso in questione sarebbe stato
accontentato con una riduzione dell'efficacia miracolistica come contropartita
per far valere la sua autorità nell'intercessione dei miracoli.
È
lecito anche supporre che la dispensa dei miracoli avvenga dopo la consulta di
Dio con i santi, che di volta in volta esprimerebbero e condizionerebbero Dio
nell'esercizio delle Sue funzioni. Ma se così fosse, Dio non avrebbe un potere
assoluto ma condiviso: presiederebbe il parlamento dei santi come in un sistema
democratico e dovrebbe tenere conto delle istanze della maggioranza e della
minoranza. Seppure suggestiva questa ipotesi appare un assunto contrario
all’onnipotenza e onniscienza che la dottrina cristiana gli attribuisce.
In
fondo i santi sono i rappresentanti del popolo devoto che li elegge in funzione
di una spinta religiosa forte che è superstizione, credenza, convenienza e
speranza. In alcuni casi le loro figure
vengono così esaltate da togliere centralità a Dio. Essi non sono pochi: nelle
litanie se ne contano qualche decina, nel calendario un centinaio. Una
moltitudine di cui la Chiesa organizza e detta le regole per il culto pubblico.
Considerato che la Chiesa non fa i santi ma li dichiara con il processo
canonico, sarebbe interessante sapere se Dio poi approva la santificazione di
alcuni o di tutti. Ora, immaginando le innumerevoli istanze di ottenimento di
un miracolo che pervengono ai santi da parte dei devoti, c'è da supporre la
mole di lavoro che incombe su di essi. Non è dato sapere come vengono valutate
le richieste e i criteri adottati per l'elargizione del miracolo: Deus absconditus.
Nulla deve trapelare. Pascal sentenzia: “C'è
abbastanza luce per chi vuole credere e abbastanza buio per chi non vuole
credere”.
I filosofi razionalisti, in
particolare David Hume, identificando il Creatore con le sue leggi, considerano
un evento miracoloso solamente perché l'uomo in quel momento non possiede una
conoscenza piena ed esaustiva delle leggi della natura. Baruch Spinoza: “appellarsi
a un miracolo è semplicemente un'ammissione di ignoranza”. Nel suo Trattato
teologico-politico, afferma che “Niente accade in contrasto con la natura,
anzi essa mantiene un ordine eterno fisso e immutabile”, aggiungendo
inoltre che:
a) il miracolo è “un evento le cui
cause naturali non siamo in grado di accettare”;
b) “in quanto significano una
sospensione dei decreti divini, i miracoli ci fanno conoscere Dio meno di
quanto ce lo faccia conoscere l'ordine fisso e immutabile delle cose”;
c) “i sacri testi richiamano
costantemente, visto l'uso i termini come “decreto”, “volontà” e “provvidenza”,
all'ordine della natura e alle sue leggi eterne”;
d) “la credenza nei miracoli è
spesso dovuta ad un'erronea interpretazione della Scrittura”.
Le suddette affermazioni sono
condivise dalla maggior parte degli scienziati contemporanei, per i quali
appunto la spiegazione del miracolo è soltanto supportata dalla fede.
Il
miracolo secondo la dottrina cristiana non è soltanto un prodigio, un atto che
proviene direttamente da Dio, è un “segno” (Semèion)
che manifesta qualcosa di nascosto e invisibile, un'indicazione quindi della
presenza e dell'agire di Dio. Nel caso del cieco, Dio ha voluto dare un segno
particolare, un avvertimento?
Allora
è necessario ritornare sul fatto per analizzarlo in ogni dettaglio.
Vanini
dichiara di aver assistito personalmente al grandissimo miracolo ad opera della
Beata Vergine, che secondo la tradizione pare sia accaduto nel mese di luglio
dell’anno 1596, quando egli aveva undici anni e già dimostrava di possedere una
intelligenza vivida e attenta, capace di esplorare il mondo della natura e
degli uomini. Si deve rilevare comunque
la sua avversione in ordine alle superstizione popolare, sicché in riferimento
ad esse assume il tono beffardo, ironico e dissacrante. C’è quindi da fidarsi
del resoconto che fa del miracolo nell’Anfiteatro?
È forse frutto della sua grande fantasia e capacità di elaborare e intersecare
un alto sentimento di devozione della popolazione salentina verso la B.V. con
un racconto miracolistico che ha un risvolto talmente assurdo e inspiegabile?
Non
si dispone di elementi biografici inerenti l'infanzia di Vanini per un accenno
della sua indole, del suo modo di essere, dei suoi interessi, per capire se
egli abbia volutamente giocato sul fatto. È innegabile la sua volontà di
studio, tant’è che all’età di 16 anni si trasferisce a Napoli per seguire i
corsi di diritto e nel 1606 consegue la laurea in legge presso il Collegio dei
Dottori legisti. Nel 1608 si
trasferisce a Padova per proseguire la propria formazione teologica,
accostandosi ai classici testi della medicina ippocratica e galenica, tanto da
acquisire una competenza medica eccellente di cui fa sfoggio nei suoi scritti.
Tutto
questo gli avrebbe consentito, otto anni dopo il miracolo, durante la sua
permanenza a Padova, di analizzare il fatto con acutezza scientifica.
Vanini
alle argomentazione dell'ateo risponde: “Concediamo
pure che il muto abbia riacquistato la parola, per la potenza
dell’immaginazione, nego però che ciò possa accadere per un cieco. Il muto non
riacquistò niente di nuovo, ma solo sciolse i lacci della lingua, effetti
questi che la forza dell’immaginazione può produrre in chi non è molto offeso,
come, secondo il Pomponazzi, era il caso del figlio del re. Ma dare la vista ad
un cieco è cosa ben complessa, perché si tratta di formare gli occhi con tutte
le loro sottili membrane”. Come si evince Vanini non propende per una
soluzione miracolistica del caso, tra l'altro afferma: “ha recuperato la luce non per qualche miracolo divino, perché non è
consuetudine di Dio premiare e punire nello stesso tempo. Trattasi perciò di
cosa fatta dalla natura”.
Di certo di imperfezione si tratta. Il
povero uomo dovette accettare un ulteriore “castigo”, a meno che non fu un suo
espediente per continuare a mendicare, senza ricorrere all’onesto lavoro dei
campi per guadagnarsi da vivere. Tesi avvalorata dall’ateo che così sentenzia: “Costui ha finto di essere zoppo pur non
essendolo, perché quando era cieco era solito mendicare (e la vita dei
mendicanti, si sa, è assai comoda)”.
Ma un miracolato può essere ingrato a
Dio, arrivando a mentire e far apparire ingiusta una menomazione fisica
ricevuta chissà per quale disegno?
Il tentativo dei teologi di puntellare
con sofisticate argomentazioni un mistero della fede o un Glaubensartikel ha
solo l'effetto di dare alle fantasticherie della teologia la parvenza della
ragione (Francesco Paolo Raimondi, Lo sguardo, rivista di
filosofia, n, 6, 2011 (II).
Il
chirurgo Maurizio Magnani nel suo saggio Spiegare i miracoli.
Interpretazione critica di prodigi e guarigioni miracolose (2004), spiega: “Questo
saggio, al pari di altri, ha confermato e ribadito che non è necessario
rincorrere ipotesi strane, fantasiose né tanto meno contro o oltre natura.
Bisogna però continuare a cercare e a studiare, per giungere a formulare una
teoria soddisfacente che sappia rendere ragione delle modalità e delle vie
psicosomatiche che l'organismo sfrutta per risanare se stesso. L'auspicio è
che, un giorno, sia possibile applicarle a tutti i malati in trattamento,
cosicché le guarigioni “miracolose” cessino di essere straordinarie e diventino
ordinarie, e gli dèi possano finalmente e definitivamente essere lasciati al
loro riposo eterno”. L'autore del saggio analizza secondo scienza le
guarigioni straordinarie, senza un'apparente motivazione, liberando il campo
della credenza e della fede da equivoci, ambiguità e presunzioni
miracolistiche, eliminando tra l'altro false interpretazioni e grossolani
errori di valutazione.
Comprendere
un miracolo equivarrebbe a spiegare l'esistenza di Dio. Spacciare per miracolo
una guarigione inspiegabile potrebbe arrecare offesa a Dio, in quanto estraneo
al fatto. Una grande responsabilità quindi dell'uomo a giudicare un ipotetico
intervento attribuito maldestramente o con convinzione a Dio. Nessuno – scrive Vanini – ha mai conosciuto
Dio, il quale è accessibile solo a se stesso. Al credente rimane la facoltà di
attribuire e ad associare a Dio eventi straordinari, che potrebbero essere
spiegati diversamente se non si facesse abuso di fantasia religiosa, con il
rischio di alimentare aspettative e vane speranze.
In
definitiva, secondo il filosofo taurisanese, Dio lo si conosce meglio non tanto
attraverso le sue opere, quanto piuttosto attraverso ciò che diciamo di non
capire. Aggiunge: “Lo definiamo sommo bene, ente primo, totalità, giusto,
pio, felice, beato, inattivo, sicuro, creatore, conservatore, moderatore,
onnisciente, onnipotente, padre, re, signore, remuneratore, ordinatore,
principio, fine, medio, eterno, sempiterno, fondatore, vivificatore, donatore,
onniveggente, demiurgo, provvidenza, benefico, unico, tutto in tutto. Non di
meno ci rendiamo conto che nessuno di tali predicati lo indica manifestamente,
quanto piuttosto altri predicati che, direi, scoprono la nostra ignoranza. Di
fatto quando diciamo che Egli è immenso, incomprensibile, che altro sappiamo
per certo se non che Egli è ed è insieme sovrabbondante?”.
Tra tutti i predicati utilizzati in abbondanza dal Vanini,
alcuni meritano una maggiore attenzione, in particolare, “medio” e “inattivo”
Inattivo in quanto non agisce. Immobile. Fermo. Inattivo
come un vulcano. C'è, ma è acquiescente. Non vi è nessuna
possibilità per qualsiasi rivelazione soprannaturale di Dio, stante l'assenza
dell'agire. È evidente soltanto in sé. Il fedele deve essere soltanto timoroso
di Dio. Deve considerare di essere sotto lo sguardo di Dio e deve preoccuparsi
di piacere più a Lui che agli uomini. Dio osserva e non agisce?
Medio? Perché medio? È un aggettivo: Normale, che si trova a
metà tra due estremi come posizione o valore. Dio è medio? Addirittura Vanini
lo definisce “primo,
medio ed ultimo atto. Infine è tutto su tutto, fuori di tutto, in tutto, oltre
tutto, prima di tutto e tutto e tutto dopo tutto”. Vanini mette fra
tanti predicati un aggettivo “contrario”, come per significare una voluta
contraddizione, al fine di dimostrare la normalità divina che trovandosi
appunto nel mezzo, fra due estremi nell'esercizio dei suoi poteri, altera
l'equilibrio della Giustizia e del Bene, spostandosi ora in punto ora in un
altro, producendo assurdità, incongruenze ma soprattutto sentenze inique,
decisioni immotivate. Medietà quindi anche in conformità dell’assunto di Aristotele
(in Etica Nicomachea, II, 6, 1106 b8) che è il mezzo, o giusto mezzo, tra gli estremi, ed è
definito o in relazione alle cose o in relazione a noi. Se la medietà è una
virtù che orienta la scelta, determinata dalla ragione dell'uomo saggio, e il
“medio” che ha in mente Aristotele, non è una disposizione alla mediocrità,
bensì una disposizione a trovare il “meglio” in ogni circostanza. La medietà
quindi non è una media aritmetica ma la predisposizione all'agire ponderato e
scelto. È evidente l'intenzione di Vanini nell'includere per poi escludere
attribuiti, demolendo le definizioni con le contraddizioni che esse stesse
producono.
Le ipotesi formulate
sin qui al fine di giustificare un miracolo soltanto a metà, o meglio un
miracolo e una sopravvenuta imperfezione, non intendono smontare in alcun modo
la struttura ideologica della fede, anzi si devono considerare come la volontà
della ragione di avvicinarsi quanto più è possibile alla Verità.
Nella vita di tutti
i giorni è inevitabile avvertire un senso di incertezza, se non di confusione.
È il sintomo di qualcosa di inconsueto rispetto alla comune fisiologia della
ragione, e non deve essere interpretato come un errore logico, ma come una
improvvisa anomalia che si manifesta con la perplessità. Ed essa non può essere
vinta da nessuna predica o spiegazione dogmatica. Quando si assiste a qualcosa
d'insolito che desta meraviglia, come appunto il miracolo, sarebbe prudente non
eccedere in valutazioni semplicistiche che col tempo potrebbero risultare
inconsistenti e ingannevoli, ma aprire gli occhi e analizzare l'evento in
considerazione del fatto che nel mondo non ci sono solo le maiuscole (Bene,
Dio, Giustizia, Male), ma soprattutto le minuscole che sono contraddistinte da
pochi e provvisori e non eterni beni, piccole giustizie che non risarciscono il
male di coloro che lo hanno subito, piccole ricchezze che nel tempo si
esauriranno, infinitesimali gioie, minuscole speranze. Il miracolo del cieco è
emblematico, Dio o chi per Lui, o qualsiasi altra forza sconosciuta o
misteriosa non ha realizzato la completezza di una felicità riposta nella
preghiera e nella devozione. Certo non si può pensare egoisticamente di
affidare le fortune umane ai santi e a Dio. L'uomo deve agire. È chiamato ad
agire con la ragione e per la ragione; e quando l'intelligenza riconosce e
accerta la verità, non c'è nessun obsequium o sottomissione da
parte sua alla fede.
Ci sono comunque due
modi di vivere la fede in Dio: c'è la fede dogmatica, basata sull'autorità di
chi parla, a prescindere dal contenuto che viene affermato; c'è la fede non
dogmatica basata sul contenuto che viene affermato, a prescindere dall'autorità
di chi la esprime. Da un lato si accentua l'autorità e quindi il retto pensiero
(ortodossia), dall'altro l'autenticità, vale a dire il bene pratico
(ortoprassi). Così appunto Albert Schweitzer, padre nobile della fede non
dogmatica del Novecento: “La
religione non dogmatica è fino a un certo punto l'erede della religione
razionalistica. È etica, si limita alle fondamentali verità etiche, e si sforza
per quanto è in suo potere di rimanere in buoni rapporti col pensiero”. È questo un
principio molto vicino al pragmatismo. La religione non dogmatica rifiuta di
accettare un assunto o un dogma, non ubbidisce, rifiuta di piegare la ragione all'autorità del dogma.
Il pensiero non va
barattato, venduto al dogma o alla religione, deve rappresentare un punto di
partenza per qualsiasi attività etica, religiosa o riconducibile alla semplice quotidianità
dell'uomo, ma tra l'altro deve essere connesso alla realtà affinché l'uomo si
ricordi della sua esistenza terrena. Senza il pensiero e la continua volontà di
riflessione e di elaborazione della realtà, l'uomo abbandona la possibilità di
avere un'opinione personale e di decidere in prima persona della propria vita.
Vanini è morto
allegramente da filosofo, coerente ai suoi principi che tendevano a liberare
l'anima dalle paure, compresa quella della morte. Ha voluto “vedere le
carte di Dio e degli uomini” per sviluppare e chiarire le semplici e complesse realtà
disseminate nei dogmi e nei precetti religiosi. Non ha voluto accontentarsi di
un pensiero già preconfezionato, di una religione che non dava respiro e
dettava obblighi di ubbidienza. Ha giocato con la propria vita e con la religione
con la consapevolezza che bisognava andare oltre le posizioni ortodosse di una
chiesa ancorata al potere e al governo non delle anime ma degli interessi
politici e religiosi. Ha pagato con la vita la sua irrequietezza tanto da
essere definito da Hegel “Martire
della filosofia” nelle sue Lezioni
di storia della filosofia.
Fu un filosofo
contro tutti per non condividerne l'ingiustizia e arrendersi ai paradossi della
religione. Egli denunciò la menzogna, l'inganno e l'impostura come pesanti
strutture di dominio dei governanti nei confronti del popolo. Non era asservito
a nessun potere. Fu avversato dai governanti per le sue idee libere che
tendevano a liberare il popolo dalle superstizioni e dalle credenze. Fu
innovatore per quanto concerne la concezione della natura e dell'uomo
che
rappresentava la sua idea di società
giusta; non ebbe paura di eludere le limitazioni delle istituzioni
che imponevano il silenzio e l'obbedienza. La sua vita si svolse nel periodo
della Controriforma, sotto il pontificato di Paolo V, che decretò la condanna a
morte di Giordano Bruno. Lo spirito ribelle di cui era animato gli fece
assumere il ruolo di missionario per la libertà del filosofare.
Il fatto del cieco
condito da alcune tesi fantasiose svela per converso l'aspetto irrazionale, e
nel caso di prova dell'esistenza di Dio, dimostrerebbe l'irragionevolezza di un
agire divino, ma anche l'illogicità di un disegno.
Il pensiero di
Vanini è codificato nell'intelligenza di un pensiero puro che traccia percorsi
nuovi.
Gli atei o coloro
che producono pensiero in difformità della dottrina non sono soltanto eruditi
che ragionano male, ma audaci che fanno ricorso alle ipotesi dettate dai
ragionamenti per svelare, qualora dovessero riuscirci, inganni
interpretativi che inficiano la purezza della creazione e di tutti i sistemi
connessi ad essa. Ipotesi e interrogativi, certezze e incertezze che non si
possono quantificare, ma che consentono
di valutare - in piena libertà - senza condizionamenti di alcun tipo, affinché
poi nel tempo possano rivelare i misteri della natura, così come è avvenuto nel
corso della storia per tanti princìpi ingannevoli decapitati dalla scienza.
L'ateismo di Vanini non va inteso come forza distruttrice della religione, ma
come ha evidenziato Andrzej Nowicki: “Vanini sostituisce e recupera con equivalenti laici molti
concetti di cui la religione cristiana si era precedentemente appropriata”.
L'uomo vaniniano può aspirare ad una
prospettiva di eternità laica, meno idilliaca di quella promessa dal Cristianesimo, ma più
corrispondente alle esigenze di libertà dell'uomo.
L’evento del
miracolo del cieco che qui si è voluto analizzare in piena libertà di
coscienza, seppure con scetticismo e ironia, stante le difficoltà di toccare il
solido terreno della fede e della scienza deve essere inteso comunque come il
desiderio dell’uomo - che su una posizione di neutralità -, attraverso la
ragione e i dati storici, ha voluto “irrompere” in un fatto per dare una
spiegazione, per quanto sia possibile, dell'accaduto.
La ricerca delle
risposte implica un percorso difficoltoso e a volte anche impraticabile, ma in
nessun modo bisogna rinunciarvi. Alzare la mano e chiedere in continuazione
chiarimenti si deve fare; immaginare domande per inventare meraviglie di
risposte si può, e infine chiedersi se mai sia veramente così.
Si può dunque
accettare l’ipotesi del miracolo per pura fede fiduciale, oppure si può
considerarlo inspiegabile e riconducibile alla natura. Dio non vuole forzare
l'uomo a credere in Lui con segni troppo chiari e inequivocabili, esige
soltanto fede, giacché nel caso Egli si scoprisse interamente, da parte del
credente non ci sarebbe alcun merito nell'adorarlo. Potrebbe allora sembrare
che Tutto sia nel dubbio, ed è dubbio, invece è soltanto questione di credere o
non credere. Il credente avrà la luce di dio, il non credente la luce della
ragione.
Elio Ria