giovedì 20 settembre 2012

Due ‘voci’ per un Dizionario dei presenti affanni


1. Visibilità.

   Che cos’è la visibilità? La possibilità per qualunque oggetto di farsi percepibile all’occhio di un osservatore. Un dato fisico suscettibile di assumere una connotazione diversa (si potrebbe dire ‘morale’?), sempre entro il suo orizzonte semantico e dalle minime possibilità, condotto – parrebbe – alle audaci navigazioni in mari ignoti della conoscenza. La ‘visibilità’ si concretizza in quello che il nostro sguardo raccoglie: un colore freddo o brillante, una forma nello spazio, la percezione della velocità o della lentezza di un corpo in movimento, la calma immobilità di un essere in riposo, il moto regolare di lente onde sulla battigia, e tanto altro. Visibilità procede anche dall’elemento che consente di definirla: ciò che la luce suscita definendo e permette di riconoscere: un albero verdeggiante, la superficie quieta di un lago, il volo di un uccello o di un aereo dentro la luce azzurra di un mattino soleggiato, il magico palpebrare di fuochi astrali sul fondale della notte…
   L’elenco si allungherebbe enormemente se si volesse registrare ad una ad una tutte le varianti del rendere/rendersi visibile degli aspetti innumerevoli delle cose. Si aggiunga quello che il sentimento rende visibile benché rimanga nascosto: un colore o una forma mentale, l’immagine d’una potenziale costruzione, quanto di virtuale riposa inesplorato nei giacimenti dell’immaginazione; un gesto essenziale mai venuto alla luce, una scena ricostruita dalla memoria, il sogno d’un fiore unico da cogliere per esprimere un amore… Una visibilità interiore, insomma, ricca di promesse e prodiga di favorevoli occasioni.
   Di fronte a tutto questo si erge ottusamente il muro di un’altra ‘visibilità’ che sempre più oggi tende ad imporsi ed è cercata affannosamente e considerata necessaria ai canoni del moderno vivere. È quella che il GDLI (Grande Dizionario della Lingua Italiana), conosciuto anche come “il Battaglia”, definisce «esibizione eccessivamente ostentata di qualcosa». Il nesso visibilità/esibizione è già per sé preoccupante. Non basta che un oggetto sia percepibile nella corrispondenza tra definizione e cosa («La rosa è la rosa»); si sente come inadeguato il semplice allineamento dei dati. Semplicità non giova. La cosa vista deve essere, per così dire, ‘stravista’. Si tratta di rinforzare forme, colori, collocazione in un contesto, superlatività nell’apparire. L’esibizione provvede a una super-epifania dell’oggetto; bisogna assicurarsi che una rivelazione non passi inosservata. L’esibizione assicura alla visibilità un più alto grado di percepibilità, richiama l’attenzione sulla cosa esibita accentuandone i dati, esaltandone alcuni caratteri, creandole intorno una cornice di forte (o vistoso) richiamo. All’esibizione detta “visibilità” si chiede che susciti un interesse straordinario. L’oggetto esibito deve avere il primo piano, richiamare l’attenzione di fotografi e telecamere, deve finire sulle prime pagine dei giornali. È così che, finalmente, la ‘cosa’ – quale che sia – si mostra nella sua esaltata/esaltante ‘cosalità’. Sotto la luce dei riflettori si mostra meglio ed è, si pensa, più visibile.
   Nel frutto esibizione entra però il verme che ci si scava la casa. L’esibizione è un frutto bacato; fosse lasciata così com’è può essere considerata una delle tante forme attraverso le quali chi vale poco crede di valere molto. Forse anche un morto pensa (o ha pensato quando era vivo) che il suo funerale è più importante se c’è una piccola stonata banda di paese a strimpellare sui passi del corteo funebre.
   La definizione del vocabolario rincara la dose quando, accanto alla parola, esibizione, aggiunge quell’«eccessivamente ostentata» che rimuove ogni dubbio su ogni possibile recupero in positivo di un atteggiamento che nell’eccesso trova la sua ragione e la sua consistenza.
   Non ci sono stati tempi esenti da forti pulsioni alla visibilità e, necessariamente, alla visibilità degli esseri umani desiderosi di mostrare di sé, sempre, quanto credono costituisca il meglio delle proprie capacità e della propria personalità. Ne è venuta fuori una figura ora curiosa, ora antipatica, ora anche guardata con ammirazione: quella dell’esibizionista. Ogni richiesta di visibilità induce all’esibizionismo, lungo un itinerario da virtù sconosciuta qual è quello mirante ad assegnare nel mondo un posto a coloro cui competa perché “eccellenti” in qualche attività ‘intellettuale’.
   La visibilità è l’ingrediente indispensabile, il brodo di coltura della personalità richiesta dal nostro tempo. Canori infanti, in un delirio di familiare ammirazione, si rendono visibili con l’esibizione di un’ugola promessa ai fasti dei teatri d’opera o degli infiniti festival canzonettari sparsi fin nei più remoti angoli del Bel Paese. All’esibizione dei Beatles o dei Pavarotti del futuro fa da pendant, piacevole alla vista ma di esasperante monotonia, l’incessante sfilata di veline, aspiranti attrici, miss per tutte le occasioni e le denominazioni. In quelle sfilate la visibilità è assicurata; non c’è bisogno nemmeno di alimentarla con qualche trovata geniale. E in quelle sfilate l’eccesso della esibizione non è nemmeno il caso di costruirlo: fa parte integrante – e fondante – della manifestazione. Solo che l’abbondanza delle occasioni, la generosità dell’esposizione di rotondità ad altezza medio-alta, i lunghi steli di gambe perfette finiscono per ottundere – con la loro inesorabile ripetitività – lo slancio di un desiderio naturale: la gara (sportiva, per così dire) prevale sul sano istinto. Inutile ricordare che in questi casi l’eccesso è carnalmente coniugato all’ostentazione. E l’ostentazione è una superfetazione dell’eccesso intrinseco all’esibizione.
   Tra gli affanni dell’oggi, i ‘presenti affanni’, la visibilità è l’anima tormentosa della nostra vita. Tutti aspirano a farsi vedere (= rendersi visibili). C’è chi lo fa scrivendo poesie e romanzi a causa dei quali la letteratura dovrà arrossire a lungo e vistosamente; c’è chi lo fa imboccando (esempio di “vita spericolata”) tutti i semafori che stiano incongruamente bloccati sul rosso quando il verde vivace e giovane preme nelle vene del centauro fremente; c’è chi lo fa mettendosi a fare il cretino, disturbando la ripresa, mentre un cronista televisivo svolge il suo onesto lavoro; c’è chi lo fa compiendo strani gesti davanti a pensose casalinghe afflitte dal rincaro della spesa e che non hanno occhi né sentimenti per esibizioni di sorta, neanche davanti a quelle “eccessivamente ostentate” di chi vorrebbe ad ogni costo attirare la loro attenzione.
   Poiché i tempi cambiano, accade che cambino anche modi ed intenzioni esibitorie. Tramontata pare – nessuno più ne parla o se ne accorge – quella dell’esibizione estemporanea dei genitali da parte di qualche poveraccio così disturbato da credere che l’epifanica apparizione del proprio sesso debba far tramortire di colpo le giovani commesse che la mattina si recano al lavoro con gli occhi ancora sigillati da un tenace residuo di sonno. Gli esibizionisti ‘sessuali’ pensano che Adamo rivelò ad Eva le proprie segrete possibilità comportandosi come loro. Vero è, invece, che Eva, creatura del sonno e del sogno di Adamo, scoprì da sola la faccenda; e con ogni agio, visto che lo sposo destinatole dormiva profondamente.




2. Vivibilità.

Si veda la ‘voce’ precedente. Se ne dedurrà, forse, che, a riflettere bene sulle condizioni di visibilità sopra descritte, la vivibilità è un optional.

                                                                                            Luigi Scorrano