1. Visibilità.
Che cos’è la visibilità? La
possibilità per qualunque oggetto di farsi percepibile all’occhio di un
osservatore. Un dato fisico suscettibile di assumere una connotazione diversa (si
potrebbe dire ‘morale’?), sempre entro il suo orizzonte semantico e dalle
minime possibilità, condotto – parrebbe – alle audaci navigazioni in mari
ignoti della conoscenza. La ‘visibilità’ si concretizza in quello che il nostro
sguardo raccoglie: un colore freddo o brillante, una forma nello spazio, la
percezione della velocità o della lentezza di un corpo in movimento, la calma
immobilità di un essere in riposo, il moto regolare di lente onde sulla
battigia, e tanto altro. Visibilità
procede anche dall’elemento che consente di definirla: ciò che la luce suscita
definendo e permette di riconoscere: un albero verdeggiante, la superficie
quieta di un lago, il volo di un uccello o di un aereo dentro la luce azzurra
di un mattino soleggiato, il magico palpebrare di fuochi astrali sul fondale
della notte…
L’elenco si allungherebbe enormemente se si volesse registrare ad una ad
una tutte le varianti del rendere/rendersi visibile degli aspetti innumerevoli
delle cose. Si aggiunga quello che il sentimento rende visibile benché rimanga
nascosto: un colore o una forma mentale, l’immagine d’una potenziale
costruzione, quanto di virtuale riposa inesplorato nei giacimenti
dell’immaginazione; un gesto essenziale mai venuto alla luce, una scena
ricostruita dalla memoria, il sogno d’un fiore unico da cogliere per esprimere
un amore… Una visibilità interiore, insomma, ricca di promesse e prodiga di
favorevoli occasioni.
Di fronte a tutto questo si erge ottusamente il muro di un’altra
‘visibilità’ che sempre più oggi tende ad imporsi ed è cercata affannosamente e
considerata necessaria ai canoni del moderno vivere. È quella che il GDLI
(Grande Dizionario della Lingua Italiana), conosciuto anche come “il
Battaglia”, definisce «esibizione eccessivamente ostentata di qualcosa». Il
nesso visibilità/esibizione è già per
sé preoccupante. Non basta che un oggetto sia percepibile nella corrispondenza
tra definizione e cosa («La rosa è la rosa»); si sente come inadeguato il
semplice allineamento dei dati. Semplicità non giova. La cosa vista deve
essere, per così dire, ‘stravista’. Si tratta di rinforzare forme, colori,
collocazione in un contesto, superlatività nell’apparire. L’esibizione provvede
a una super-epifania dell’oggetto; bisogna assicurarsi che una rivelazione non
passi inosservata. L’esibizione assicura alla visibilità un più alto grado di
percepibilità, richiama l’attenzione sulla cosa esibita accentuandone i dati,
esaltandone alcuni caratteri, creandole intorno una cornice di forte (o
vistoso) richiamo. All’esibizione detta “visibilità” si chiede che susciti un
interesse straordinario. L’oggetto esibito deve avere il primo piano,
richiamare l’attenzione di fotografi e telecamere, deve finire sulle prime
pagine dei giornali. È così che, finalmente, la ‘cosa’ – quale che sia – si
mostra nella sua esaltata/esaltante ‘cosalità’. Sotto la luce dei riflettori si
mostra meglio ed è, si pensa, più visibile.
Nel frutto esibizione entra
però il verme che ci si scava la casa. L’esibizione è un frutto bacato; fosse
lasciata così com’è può essere considerata una delle tante forme attraverso le
quali chi vale poco crede di valere molto. Forse anche un morto pensa (o ha
pensato quando era vivo) che il suo funerale è più importante se c’è una
piccola stonata banda di paese a strimpellare sui passi del corteo funebre.
La definizione del vocabolario rincara la dose quando, accanto alla
parola, esibizione, aggiunge
quell’«eccessivamente ostentata» che rimuove ogni dubbio su ogni possibile
recupero in positivo di un atteggiamento che nell’eccesso trova la sua ragione
e la sua consistenza.
Non ci sono stati tempi esenti da forti pulsioni alla visibilità e,
necessariamente, alla visibilità degli esseri umani desiderosi di mostrare di
sé, sempre, quanto credono costituisca il meglio delle proprie capacità e della
propria personalità. Ne è venuta fuori una figura ora curiosa, ora antipatica,
ora anche guardata con ammirazione: quella dell’esibizionista. Ogni richiesta
di visibilità induce all’esibizionismo, lungo un itinerario da virtù
sconosciuta qual è quello mirante ad assegnare nel mondo un posto a coloro cui
competa perché “eccellenti” in qualche attività ‘intellettuale’.
La visibilità è l’ingrediente indispensabile, il brodo di coltura della
personalità richiesta dal nostro tempo. Canori infanti, in un delirio di
familiare ammirazione, si rendono visibili con l’esibizione di un’ugola
promessa ai fasti dei teatri d’opera o degli infiniti festival canzonettari
sparsi fin nei più remoti angoli del Bel Paese. All’esibizione dei Beatles o
dei Pavarotti del futuro fa da pendant,
piacevole alla vista ma di esasperante monotonia, l’incessante sfilata di
veline, aspiranti attrici, miss per tutte le occasioni e le denominazioni. In
quelle sfilate la visibilità è assicurata; non c’è bisogno nemmeno di
alimentarla con qualche trovata geniale. E in quelle sfilate l’eccesso della
esibizione non è nemmeno il caso di costruirlo: fa parte integrante – e
fondante – della manifestazione. Solo che l’abbondanza delle occasioni, la
generosità dell’esposizione di rotondità ad altezza medio-alta, i lunghi steli
di gambe perfette finiscono per ottundere – con la loro inesorabile
ripetitività – lo slancio di un desiderio naturale: la gara (sportiva, per così
dire) prevale sul sano istinto. Inutile ricordare che in questi casi l’eccesso
è carnalmente coniugato all’ostentazione. E l’ostentazione è una superfetazione
dell’eccesso intrinseco all’esibizione.
Tra gli affanni dell’oggi, i ‘presenti affanni’, la visibilità è l’anima
tormentosa della nostra vita. Tutti aspirano a farsi vedere (= rendersi
visibili). C’è chi lo fa scrivendo poesie e romanzi a causa dei quali la
letteratura dovrà arrossire a lungo e vistosamente; c’è chi lo fa imboccando
(esempio di “vita spericolata”) tutti i semafori che stiano incongruamente
bloccati sul rosso quando il verde vivace e giovane preme nelle vene del
centauro fremente; c’è chi lo fa mettendosi a fare il cretino, disturbando la
ripresa, mentre un cronista televisivo svolge il suo onesto lavoro; c’è chi lo
fa compiendo strani gesti davanti a pensose casalinghe afflitte dal rincaro
della spesa e che non hanno occhi né sentimenti per esibizioni di sorta,
neanche davanti a quelle “eccessivamente ostentate” di chi vorrebbe ad ogni
costo attirare la loro attenzione.
Poiché i tempi cambiano, accade che cambino anche modi ed intenzioni
esibitorie. Tramontata pare – nessuno più ne parla o se ne accorge – quella
dell’esibizione estemporanea dei genitali da parte di qualche poveraccio così
disturbato da credere che l’epifanica apparizione del proprio sesso debba far
tramortire di colpo le giovani commesse che la mattina si recano al lavoro con
gli occhi ancora sigillati da un tenace residuo di sonno. Gli esibizionisti
‘sessuali’ pensano che Adamo rivelò ad Eva le proprie segrete possibilità
comportandosi come loro. Vero è, invece, che Eva, creatura del sonno e del
sogno di Adamo, scoprì da sola la faccenda; e con ogni agio, visto che lo sposo
destinatole dormiva profondamente.
2. Vivibilità.
Si veda la ‘voce’ precedente. Se ne
dedurrà, forse, che, a riflettere bene sulle condizioni di visibilità sopra
descritte, la vivibilità è un optional.
Luigi Scorrano