domenica 22 luglio 2012

La Notte di Elio Ria


Sorgente intima della reminiscenza ed esperienza onirica, itinerario della mente verso l’infinito.
È questa la Notte di Elio Ria. Una notte in cui, nel travaglio dello sforzo spirituale e nella proiezione in un abisso indistinto di sogni e realtà, le parole viaggiano su un continuum di immagini, che traducono in realtà poetiche e drammatiche la sostanza cangiante e sfuggente del notturno. Nei componimenti si coglie un’eco silenziosa del cielo notturno degli Egizi, un mondo in cui “la gente vi cammina con la testa in giù e i piedi in alto”.

E in questa ubriacatura di pensieri non poteva mancare la Signora del cielo delle tenebre, la protagonista misteriosa della ricerca del significato, la Luna! Lontana dalle metamorfosi licantropiche e dai movimenti convulsivi di pirandelliana memoria, la divina Selene del nostro poeta ripercorre, con passi più ottimistici, i ritmi della silenziosa luna leopardiana. E non è casuale che, a volte, un bambino interpreti il ruolo di guida e di avanscoperta delle verità tipiche dei nomadi passi del pastore errante dell’Asia.
Numerosi sono i riferimenti alla realtà spazio-temporale, che spezzano i connotati mistici dell’infinito: ‹‹La luna è lì / non tonda / abusata a ovest / il mare senza crepe / acquietato / scalpelli di vento… / compiuto è ormai il giorno / giunge inatteso…/ l’indizio di una notte››. La presenza frequente di “indizi”, molto spesso attinti dai paesaggi di un remoto Mediterraneo, offre la possibilità al lettore-viaggiatore di non perdere di vista l’insieme e di non perdersi nelle strade del buio che avvolge la fatica della ricerca.
A volte la ricerca si fa incalzante, sparuti segni di interpunzione significano un flusso continuo di pensieri reconditi. Poi nuovi colori, nuove sensazioni, nuovi suoni impediscono che la “notte” ceda il “passo” all’oligofrenia del cammino del poeta: ‹‹Dondolano i versi / sui capelli di zenzero / un cielo s’accascia››. Il dondolio, la condizione fluttuante di chi si pone domande di senso, rendono ragione alla vicenda poetica, “la più grande delle illusioni”¸ avrebbe detto Foscolo.
E in tutto questo susseguirsi di emozioni universalizzanti condite da un linguaggio a volte immaginifico e che non di rado cede a tentazioni dionisiache, Elio Ria offre una dimora nictomorfa al poeta che erra nella propria mente. Novalis riconosce che ‹‹il tempo della luce è misurato, ma il regno della notte non conosce il tempo né lo spazio››, quindi il luogo dell’anima ideale per la creazione poetica. Così anche i poeti della gente hanno accesso alla contemplazione dell’ideale e alla facoltà di tradurlo in versi, in parole, tutte al loro posto, come le note di una musica.

È la melodia dell’apeiron, verso cui il Nostro non vuole tendere risalendo ad immagini archetipiche o a schemi marcatamente antropologici: Elio Ria dà voce alla notte della gente con le peculiarità della dimensione quotidiana nelle cui viscere egli indaga i significati più veri e più profondi.
Onorando questa missione, il poeta morrà e vivrà in un infinito ciclo di rinascita e trasformazioni.
 Chi diventerà? Chi sarà? In quale altro mondo troverà dimora? Per un attimo si scorge la possibilità che una dimensione alternativa esista, ed è quella “Prima del principio”: ‹‹Non ci sono pieghe, né indizi di aria / ma l’alba di un dio è ancora oscurità / il cielo è fin troppo infinito all’orizzonte››.
Sospeso tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si muove Elio Ria. E chissà se il mirabile inganno poetico della “sua” notte non continui anche quando l’incantesimo del sogno svanirà.
Luigi Calsolaro e Manuel De Carli

Recensione a: Elio Ria, Il passo della notte , Lupo Editore, 2012