mercoledì 2 maggio 2012

Riflessioni personali sul concetto di Nichilismo

Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo. 
( Johann Wolfgang von Goethe).

Il mondo non è senza Dio, Dio non è senza il mondo. 
(Schleiermacher).

Riverbera ancora, nella cultura contemporanea, l’eco di antichi lemmi di cui continuo, per quanto mi sforzi, a non comprenderne il significato profondo.
In particolare mi riferisco al concetto di nichilismo: chi è? Che cos’è?
Nei “Frammenti postumi” Nietzsche tenta di schiarirmi le idee con queste parole:
 Che cosa significa nichilismo? Significa che i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al: perché?
Ma credere che “abbiamo nulla” e che “siamo nulla” non è forse una contraddizione?
Infatti, se accettiamo l’idea che i valori siano tramontati, come possiamo muoverci nel mondo, interpretarlo e interagire con esso? Non sono forse le idee e i valori i motori propulsivi del nostro corpo e dell’anima?

A spingerci nello studio e nella ricerca di un lavoro non sono i valori della vita, del denaro o del potere?
Se cerchiamo amici; soffriamo la solitudine; cerchiamo una donna o un uomo con cui invecchiare e se soffriamo quando veniamo lasciati o lasciamo; non cerchiamo e soffriamo per amore – nella sua concezione più ampia?
Se la tecnica e la tecnologia sono sempre più sofisticate, se abbiamo fede, OPS!!!, fiducia nella scienza e ad essa poniamo domande, non è forse perché abbiamo sostituito – permettete le ridicole generalizzazioni – il calcolo delle probabilità alla Provvidenza?
E infine, il “valore di scambio” non è a sua volta un “valore assoluto”?

Il culmine della follia non è forse pensare che l'essere è il nulla? E "nichilismo" non è forse, innanzitutto, pensare che l'essere è nulla?
( Emanuele Severino )

Credo che i valori di economia; di vita; bene e male; Dio e scienza siano presenti oggi come in altre epoche ma che si manifestino nella società contemporanea con modalità diverse. Magari sono semplicemente interpretate in altro modo… ma ci sono.
Il “nulla” non esiste, l’uomo è un animale metafisico, dio non muore ma si trasforma.

                                                                                               Antonio Rotundo

Commenti (8)

Caricamento in corso... Login in corso...
  • Collegato come
La follia del nichilismo, di cui parla Severino, è quella follia, sviluppatasi in occidente e avente le radici nella filosofia stessa, che consiste nel credere che gli enti, escano dal nulla e ritornino nel nulla. Credere a ciò è essere folli, perché il non essere non può essere. Stando a quanto afferma Severino(riprendendo il discorso di Parmenide), il divenire, è illusione. In realtà gli essenti, sono eterni, ma si mostrano e non si mostrano. Ciò che non appare non è divenuto non essere, semplicemente non appare, da qui il discorso sull'apparire degli essenti.Un ente, divenendo altro da ciò che è, perderebbe o acquisterebbe sul piano ontologico. A questo punto, ciò che è perso sarebbe divenuto non essere e ciò che è acquistato deriverebbe dal non essere? Non può essere! Sarebbe una violazione del principio di non contraddizione. L'essere, in quanto è, non può essere non essere. La follia del nichilismo, di cui parla Severino, è quindi il pensare che gli enti, oscillino tra essere e non essere.
Se esistesse Dio, gli enti sarebbero nullificati.
I filosofi sommi, per Severino, sono Nietzsche e Leopardi. La filosofia pre-Nietzschiana, appartiene ancora a tale follia. Con Nietzsche, non potendo parlare di Verità( come epìsteme) , venendo a mancare un massimo principio metafisico , i valori, sono "valori terrestri", e non derivano da una realtà metafisica(sarebbero questi i valori assoluti che tramontano).
Se Dio, realtà immutabile, fosse, gli enti, diverrebbero. Ora, credere che gli enti divengano è follia, ogni essente è eterno.
La filosofia di Severino non mi appartiene, ma se commento è perché credo sia stata male interpretata, o almeno questo è quanto si evince da questo articolo.
5 risposta · attivo 674 settimane fa
Ciao Andrea
Grazie per aver commentato e aver dimostrato critico interesse verso il mio articolo.

Ho “rivisitato” il pensiero di Severino e sembra che questi non creda nella possibilità del nulla e ritiene che nichilismo sia pensare “il nichilismo” . Essendo questo un pensiero è un essente e come essente è destinato a essere oltrepassato per lasciar posto alla “Gloria” o manifestazione della verità.
Tutto ciò che è, è oltre la mortalità ed è un “Oltredio” e il “divenire” è apparenza: l’eterno e l’immutabile si manifesta illusoriamente come soggetto al fluire del tempo e delle categorie di causa ed effetto. Il divenire, dunque, non è concepito se non come illusorio e antinichilistico. Egli infatti ritiene che il Dio della creazione e dell’”Apocalisse” non sia pensabile altrimenti sarebbe lecito ammettere un inizio dell’essere dal nulla (Creazione) e un ritorno dell’essere al nulla ( Fine del mondo o morte).
Quindi Severino si rifà ai filosofi greci Aristotele, Platone e Parmenide “correggendoli” così come fa con Hegel.

Se l’essere è e si manifesta nel divenire, non è forse questo divenire il “dio in divenire” di cui ho parlato nell’articolo? Di sicuro comunque quest’ultima parte è una mia interpretazione della filosofia di Severino che non pretende di essere la filosofia di Severino… infatti l’articolo l’ho intitolato “ Riflessioni PERSONALI sul concetto di nichilismo”.

Spero di averti chiarito la mia posizione, ti ringrazio per avermi dato la possibilità di approfondire una parte del mio articolo…ti saluto.
Antonio.
Lei però, diceva che "i valori", sono nella nostra epoca interpretati in un modo diverso. Ora capisco, da quanto dice, che in realtà, sono i valori, fra cui lei fa rientrare Dio, a mutare, e non l'interpretazione che se ne da. Ma allora il Dio di cui lei parla, se è in divenire, non è di certo, il Dio delle altre epoche, come invece afferma nell' articolo. Se Dio divenisse, non sarebbe, inoltre, imperfetto e temporale?
Andrea
Comunque insisto nel dirle che, i filosofi che Severino, pone su quella che egli chiama <<la punta di diamante filosofica>>, sono, Nietzsche e Leopardi. Proprio perché entrambi, hanno consapevolezza della morte di Dio. Lei quindi, citando Severino in tale contesto, non ha fatto altro che darsi la zappa sui piedi.
Andrea
Da un' intervista di Renato Parascandolo a Severino il 4 giugno 1993.

R.P.-Infine, Professor Severino, vorrei chiederle cosa, per Lei, ha ancora da dire l'opera leopardiana alla cultura occidentale?

E.S.-Se vuole rimanere coerente con se stessa, la cultura dell'Occidente non può che consentire con quanto dice Leopardi. Leopardi non è una stravaganza all'interno della nostra cultura. Egli è pessimista come lo sono i Padri della Chiesa, Hegel, Aristotele, ma lo è in modo più radicale di loro. Alla radice della cultura occidentale sta ormai la persuasione che le cose reali con cui abbiamo a che fare sono effimere. Possiamo anche tentare di accaparrarne e trattenerne presso di noi il maggior numero possibile, ma rimane comunque incontestato il fatto che non ci sono più i grandi dèi immutabili che costituiscono il senso stabile del mondo.
Il messaggio che la nostra cultura trasmette all'uomo contemporaneo, è che tutto è nulla, nel senso che tutto esce dal nulla e va nel nulla. Mi chiedo, allora, se coloro che assumono atteggiamenti psicologicamente devianti, i pazzi, i depressi, coloro che non diciamo normali, non siano, in realtà, lungimiranti. Lungimiranti perché, con il loro comportamento, traggono la conseguenza inevitabile che si deve trarre dalla visione della nullità delle cose. A ben vedere, infatti, l'incitamento a vivere per quel tanto che ci è concesso, a organizzarci il più possibile, a resistere, a darci da fare, a costruire mondi, ad attraversare le galassie, è operato sulla base di una verità di fondo per la quale tutte le cose sono nulle. Questa verità non si esprime solo attraverso la consapevolezza che non ci sono più dèi eterni, ma anche nella tesi della cosmologia astronomica secondo cui all'origine c'è un nulla iniziale e tutte le cose sono soggette ad un processo entropico di distruzione. Il messaggio inviatoci dalla nostra cultura produce ciò che Leopardi chiama la "verissima pazzia". Tutto il resto è soltanto un tentativo di mascherare l'orrenda verità delle cose con alternative provvisoriamente devianti che non riescono a togliere dall'orizzonte dell'uomo la minaccia radicale della nullificazione che investe ormai tutto.
Leopardi è un grande maestro del nichilismo. Prendere in considerazione Leopardi è importante nella misura in cui è necessario vedere se esiste un'alternativa alla storia dell'Occidente. Se l'Occidente incomincia così come è incominciato, la filosofia dell'Occidente è quella di Leopardi. Ma la domanda decisiva, anche e soprattutto nei riguardi di questo errore puro in cui consiste Leopardi, è se non sia da mettere in questione la fede nel divenire, da cui muove l'intera civiltà occidentale e di cui Leopardi è il seguace più rigoroso.
Sulla base della fede costitutiva dell'Occidente - la fede nel divenire - è inevitabile la caduta di tutti i rimedi. L'esigenza stessa di un rimedio, sia esso rappresentato dalla filosofia, dalla religione, dalla tecnica, dalla poesia o dalla festa arcaica, è possibile solo a partire dalla fede nel divenire. Dobbiamo allora chiederci: si deve continuare a considerare la fede nel divenire come qualche cosa che sta assolutamente fuori discussione, fuori dell'ambito su cui si esercita il nostro spirito critico, oppure, essendo tale fede responsabile dell'intera storia dell'Occidente, occorre che ci si interroghi su di essa e sulla sua consistenza?
Tullo
epistème, non epìsteme!

Invia un nuovo commento

Comments by