martedì 14 febbraio 2012

Faust, le digital library e il rischio social

Un tempo si andava in libreria, entrandovi con atteggiamento riverente, prendendo posto in silenzio, vicino a una lampada Kennedy, immergendosi lentamente nei libri, in un’atmosfera di collettiva sacralità e rispetto, quasi chiericale, del luogo e del sapere che vi si preservava. L’avvento di internet e lo sviluppo delle digital library ha messo in discussione numerosi usi e costumi relativi al mondo del libro e all’universo bibliotecario.

Anche le biblioteche hanno dovuto affrontare la rivoluzione digitale, reinventandosi e imparando il linguaggio del marketing. Non più scrigni di preziose rarità bibliografiche o centro per riunioni quasi massoniche di circoli intellettuali. Non più circoli, ma punti di ritrovo, nodi della rete nazionale delle biblioteche (sbn), collegati ad archivi virtuali. Biblioteche pensate come piazze del sapere, Idea Store (Antonella Agnoli, 2010), integrate alle città, che spezzano il cerchio delle élite e della diffidenza dei profani. Ma al di là delle scommesse sul loro ruolo futuro, con il passare del tempo le biblioteche sono state sempre più sostituite dalle privatizzazione del sapere offerto dalle digital library: biblioteche virtuali consultabili a casa o dal proprio dispositivo mobile, a metà strada fra cataloghi elettronici digitali ad accesso pubblico (opac) e archivi digitali on-line.
A differenza di vecchie biblioteche e di polverosi archivi (incubo di studiosi allergici e sofferenti di meibomite), le digital library tendono sempre più ad integrarsi con il modello social del web 2.0, offrendo non solo opportunità di feedback e di social filtering o social bookmarking, ma anche servizi di e-commerce per la compravendita di volumi e di saggi.
Non è improbabile che, in un prossimo futuro, le digital library vengano sempre più integrate con i social network, divenendo dei veri e propri servizi trasversali. Tali servizi, infatti, potranno attingere alla ricca raccolta delle preferenze individuali di utenti, che dichiarano spontaneamente orientamenti privati, religiosi sessuali o politici, gusti e inclinazioni culturali; insomma, ogni sorta di indicazione relativa alla sfera privata. Se ne parla in questi giorni all’evento IfBookThen, conferenza internazionale sul futuro dell’editoria organizzata da BookRepublic e 4IT Group.

Si pensi, per esempio, ai servizi social per la condivisione dei commenti sui libri e letteratura, da siti come Anobi ad applicazioni per iPad come Readmill; oppure a siti come Small Demons, in cui vengono raccomandati libri a partire dal loro contenuto, in quella che viene definita una storyverse, ovvero un intreccio di esperienze culturali legate alla biografia di un personaggio o al suo mondo intellettuale e fantastico. Se per esempio su Small Demons effettuo una ricerca su Schopenhauer, il sito offrirà “inviti alla lettura” relativi a personaggi, opere, luoghi e pensatori legati all’autore del Mondo come volontà e rappresentazione. Nel nostro caso, in relazione ai personaggi, suggerirà la lettura delle opere di Nietzsche o di Thomas Mann o di Joris-Karl Huysmans, oppure i quadri di Matisse o De Chirico, tutti intellettuali fortemente influenzati dallo schopenhauerismo. Oppure il sito indicherà delle guide turistiche di Danzica, Weimar o Francoforte, città in cui il Nostro è vissuto; e ancora, suggerirà di ascoltare musica wagneriana o inviterà a leggere La cura Schopenhauer di Irvin D. Yalom.

Le digital library e le nuove applicazioni social promettono esperienze culturali multimediali, percorsi di narrazioni a bivi, intrecci esistenziali fra autore e lettore, vissuti multisensoriali con butterfly effect degni del racconto fantascientifico di Ray Bradbury, A Sound of Thunder. Ma questo sogno caleidoscopico non sarà gratuito. Per vivere altre vite negozieremo i dati della nostra sfera privata. Faust dovrà pagare ancora una volta pegno al diavolo: il sapere per la propria privacy.

Fabio Ciracì